dal Centro Studi Livatino
Appunti sulla filigrana antropologica nei contratti di “maternità surrogata”.
Il dibattito attorno a quella pratica che la legge n. 40/2004 chiama “surrogazione di maternità”[1] solitamente si sofferma sull’esame di importanti aspetti medici, sociali e psicologici. Ma vi è anche un ineliminabile fattore giuridico. Se, infatti, un committente pretende di conformare il comportamento della gestante in senso opposto alla fisiologia delle relazioni madre/figlio, solo un vincolo contrattuale, ritenuto lecito, può assicurare l’immediata separazione del bimbo dalla partoriente e la consegna del neonato a chi ha commissionato la gravidanza[2], oltre alle ulteriori gravosissime condizioni imposte alla gestante[3]. Non solo. Se, sotto un profilo tecnico, la procreazione medicalmente assistita ha consentito che la fecondazione potesse avvenire al di fuori del corpo della gestante, solo una imposizione giuridica può ottenere la frontiera propria della maternità surrogata, in cui, cioè, come si vedrà, per la prima volta si impone a mezzo di un contratto la radicale separazione del neonato dalla puerpera, cioè dalla madre[4].
Il “contratto”, dunque, assume un ruolo assolutamente centrale nella prassi in commento, e proprio di tale aspetto giuridico si può condurre una lettura per così dire “in controluce”, al fine di scorgere sia in quale contesto storico-culturale essa avvenga, sia da quale antropologia abbia origine la pretesa di riconoscere liceità ad una “negoziazione” in tema di maternità e di vita nascente, per converso con la rimozione dei divieti penali attualmente vigenti e con l’opposizione all’estensione degli stessi[5].
Il contesto storico-culturale si ricava osservando una prima, quasi “clamorosa” evidenza”: perché non appare più scontata l’incompatibilità della maternità surrogata con l’ordinamento di derivazione costituzionale, nel quale la vita dovrebbe essere sempre pienamente tutelata come inviolabile, specie nelle circostanze di particolari complessità e fragilità[6]? Infatti, basterebbe richiamare l’art. 5 del Codice civile[7] “per ritenere impossibile in Italia la pratica della maternità surrogata”[8]. Invece, di tale necessità giuridica non è più convinta nemmeno la Corte di Cassazione, che con l’ordinanza della Prima Sezione civile 21 gennaio 2022, n. 1842[9], ha rimesso alle Sezioni Unite[10] la decisione sulla possibilità, appunto, di ottenere una liceità, anche indiretta o parziale, nell’ordinamento italiano dei contratti sottoscritti all’estero per “maternità affittate”.
Se, dunque, sono cadute certezze giuridiche che fino a pochi anni fa sarebbero state considerate granitiche, tale dinamica va assunta per il suo significato più rilevante[11]: la profonda metamorfosi in essere del diritto svela il “cambio d’epoca”[12] in cui ci troviamo, caratterizzata proprio dalla verticale caduta di ogni riferimento assiologico socialmente condiviso[13]. In altri termini, il nerbo valoriale sotteso agli interrogativi giuridici sollevati dalla citata ordinanza della prima sezione civile del “Palazzaccio” non deriva più dalla scelta antropologica assunta dalla Costituzione, che tutela soprattutto le condizioni di vita più fragili. Il “nuovo diritto”, coniato con costanza negli ultimi dieci anni[14] appare piuttosto contrassegnato dal diverso modello antropologico di un “neo-individualismo”, del quale la convinzione assiologica è la affermata equivalenza fra la “dignità” della vita e una assoluta “autodeterminazione”[15]. Ma se il valore della vita risiede solo nella capacità del singolo di essere totalmente “autodeterminato”, autonomo, possessore del reale, allora quando la persona non è in queste condizioni, l’esistenza non ha più un valore assoluto in ogni circostanza, ma diviene a “dignità variabile”: se subentra la debolezza, la malattia o la povertà, la sua dignità viene meno, fino ad essere negata. Fino ad essere contrattualizzata come un qualsiasi “bene disponibile”. Lo sbandierato mito dell’autodeterminazione si risolve nella “cultura dello scarto”, secondo l’ulteriore acutissima intuizione di Papa Francesco[16].
La maternità surrogata propone tratti particolarmente significativi proprio di tale proposta antropologica del tutto differente dalla concezione sull’umano assunta dalla Costituzione.
PRIMO TRATTO ANTROPOLOGICO: L’ESALTAZIONE DELL’AUTODETERMINAZIONE NELLA ROTTURA DI TUTTI I LIMITI NATURALI PER LA PROCREAZIONE.
Il protagonista dell’autodeterminazione, assurta a unico parametro assiologico, pretende la libertà dai legami relazionali e dai condizionamenti della sua natura umana, e per questo, nel “cambio d’epoca” “la tecnica e il diritto sono diventati” i suoi “strumenti fondamentali per «tagliare» i legami”, veri e propri “baluardi della libertà moderna”[17]. Tuttavia, se la tecnica della fecondazione in vitro, estesa all’impianto eterologo per mezzo della sentenza della Corte costituzionale 8 aprile 2014, n. 162[18], aveva abbattuto, per i rapporti omogenitoriali femminili, il limite della diversità sessuale nella coppia generante nuova vita, comunque rimaneva invalicabile l’ulteriore condizione naturale dell’unicità della madre, quella, cioè, per cui ogni cultura non ha mai dubitato che la maternità fosse sempre e solo quel rapporto inscindibile della donna con il bimbo che cresce nel suo grembo.
Ora, invece, con il contratto di maternità surrogata un neonato può, putativamente e convenzionalmente, divenire “figlio” (solo) di committenti omosessuali maschi, obbligando la puerpera, sul cui corpo sia stato impiantato un embrione con la PMA eterologa, a interrompere la sua relazione materna con il bimbo partorito e a consegnarlo ai committenti.
Così, la prospettiva assiologica dell’“autodeterminazione”, propria dell’attuale “cambio d’epoca”, nel contratto di maternità surrogata trova la sua più potente affermazione, giacché all’apparire di una nuova vita viene negato ed estromesso, per via contrattuale, il rapporto della stessa con la madre: si vuole che il diritto consenta l’esclusione della maternità, “liberando” il figlio dalla donna che lo ha partorito. Il rapporto più consustanziale alla vita viene vinto. La prospettiva promessa all’uomo dal serpente nel giardino dell’Eden[19] diviene finalmente ottenibile, perché appare nello scenario della storia umana un novello creatore di vita, con dinamiche che vogliono rifondare quelle proprie della natura umana. Un nuovo e più potente Prometeo sembra così tornare a competere con gli dèi, dotato di un inedito e mai immaginato “fuoco, simbolo di energia creativa legato al divino, alla Conoscenza suprema, forse all’immortalità”[20].
SECONDO TRATTO ANTROPOLOGICO: IL CONTRATTO DI MATERNITÀ SURROGATA CREA RELAZIONI ASIMMETRICHE E ROMPE L’UNITÀ PROPRIA DELLA MATERNITÀ.
Se, con riferimento ai condizionamenti della realtà, il contratto di maternità surrogata ottiene l’obiettivo di allargare l’“autodeterminazione” oltre ogni limite della natura umana, rispetto invece alle relazioni con gli altri soggetti coinvolti, i contenuti di detto “contratto” propongono un predominio “proprietario” del committente, che, in una grave asimmetria inter-soggettiva, equipara la gestante e il bimbo a “sue” “cose”.
Infatti, un “contratto” realizza necessariamente la presenza di un “creditore” (la parte più forte), di un “debitore” (la parte più debole) e dell’“oggetto” o degli “oggetti” della prestazione. Ecco, allora, venire in rilievo una relazione strutturalmente asimmetrica, in cui i soggetti non sono sullo stesso piano, e la parte più debole sacrifica una porzione della propria esistenza fisica, affettiva e spirituale al volere della parte più forte. Sul punto, annotano acutamente le Sezioni Unite n. 3892/2022[21], “il desiderio di una persona di avere un figlio” può, asimmetricamente, “realizzarsi -solo- al costo dei diritti di altre persone”, poi dettagliando gli effetti del contratto di maternità surrogata sulla dimensione soggettiva delle “madre” e del “figlio”, osservando la “riduzione” della “prima a mero servizio gestazionale e il secondo ad atto conclusivo di tale prestazione servente”, cosicché il committente, quale parte dominante, “pretende di essere soddisfatto attraverso il corpo di un’altra persona utilizzato come mero supporto materiale per la realizzazione di un progetto altrimenti irrealizzabile” [22].
Se, dunque, la prima evidenza antropologica della maternità surrogata è data dall’iperbole assoluta dell’autodeterminazione, il successivo aspetto attinente alla concezione dell’umano e insito nella pretesa contrattuale introduce l’ineliminabile disassamento asimmetrico delle relazioni soggettive, per offrire alla posizione dei più forti un dominio sui più deboli, reificando la madre e il feto, che divengono meri strumenti per il desiderio del novello Prometeo. Si è di fronte a una architettura relazionale che contraddice tout court la “giuridicità”, atteso che “la reciprocabilità delle esigenze e richieste è la condizione di un ordine simmetricamente giusto che presuppone (e conferma) la uguaglianza ontologica tra i soggetti”[23]. La maternità surrogata propone, piuttosto, un “antropocentrismo deviato”, per cui “l’essere umano pone sé stesso al centro”, finendo “per dare priorità assoluta ai suoi stessi interessi contingenti, e tutto il resto diventa relativo”, cosicché tale “cultura del relativismo … spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, … riducendola in schiavitù”[24], ipotesi che troverà un terreno meno resistente in condizioni di povertà e solitudine della donna cui è proposto il contratto in parola[25], cosicché appare “veramente difficile stabilire la differenza tra consenso e sfruttamento ai fini economici, il rischio infatti è che si crei un mercato dei più ricchi che sfruttano i più deboli”[26].
TERZO TRATTO ANTROPOLOGICO: LA CESURA FRA VITA E GRATUITÀ, CON LA CONTESTAZIONE DELLA DIPENDENZA.
Sono ancora le Sezioni Unite ad accorgersi di un ulteriore essenziale profilo antropologico insito nella maternità surrogata, attirando l’attenzione, cioè, sull’obbligo, assunto dalla gestante, di abbandonare il bimbo da lei nato, il che “tende a cancellare il rapporto tra la donna e il bambino che porta in grembo, ignorando i legami biologici e psicologici che si stabiliscono tra madre e figlio nel lungo periodo della gestazione e così smarrendo il senso umano della gravidanza e del parto”[27]. Il contratto per l’utero in affitto spezza l’unità nel rapporto di maternità/filiazione, “parcellizza la maternità, programmando una rottura violenta tra il bambino e la gestante”[28]. Con la GPA, cioè, anche mater numquam certa est. La storia umana conosce per la prima volta la inedita possibilità che la puerpera non sia la madre del nato e che la madre biologica non coincida con la “culla” corporea da cui una nuova vita si alimenta e in cui inizia la percezione della realtà[29].
Questa originaria, fisiologica unità fra madre e figlio è strutturalmente connessa a una dinamica ontologica di “gratuità”. Fino, cioè, all’invasione neo-creatrice del contratto di maternità surrogata, ogni riflessione sulla “vita” doveva innanzitutto riconoscere che l’esistenza nel suo inizio, nel suo apparire è data, gratuitamente data. Giacché l’abbrivio della vita si impone, oggettivamente, quale avvenimento. Accade come “dono”, come un fatto che si riceve, non come risposta a una misura e ad azioni addirittura contrattualizzate.
Più ancora. Constatare e riconoscere che l’incipit dell’esistenza è un “dato” svela un altro consustanziale fattore ovvero che l’essere umano vivendo, dipende. È la “dipendenza” da altro da sé a permettere la vita, come accade, grandiosamente, in quell’archetipo dell’esistenza che è la maternità. Oggettivamente, l’uomo non ha la capacità di decidere di sussistere nemmeno per un solo istante, atteso che “vulnerabilità e dipendenza sono caratteristiche ineludibili della realtà umana”[30]. “Tale aspetto trova conferma empirica nel vivere umano -proprio- a partire dalla nascita biologica (il venire da che manifesta per eccellenza la dipendenza da altri)”, che “si rivela come l’aspetto ontologico primario dell’uomo. Non è soltanto un esserci «per mezzo» dell’altro, ma un «essere-con-l’altro»: «l’uomo si conosce quale ente-in-relazione, per cui, fuori dalla relazione, si può ben dire, l’io non è”[31].
Per converso, anche paternità e maternità sono fenomeni relazionali intrinsecamente concepiti o attesi -almeno nel sussulto iniziale degli stessi- come una “gratuità”, come un’offerta e una tensione amorose prive di misura e calcoli verso la nuova vita che accade.
Ebbene, come si è letto nella sentenza 30 dicembre 2022 delle SS.UU., la maternità surrogata, per la prima volta nella storia umana, contesta e spezza quell’archetipo antropologico che caratterizza la vita nel suo accendersi, offerto esperienzialmente proprio dall’unità del concepito e del feto con il corpo della madre.
La contrattualizzazione della maternità (per liberarsene) e del neonato rappresenta invece la vita quale “prestazione”, misura, calcolo, cancellando così quel livello originario di “gratuità” dell’esistenza che è sempre apparsa come la cifra più imponente dell’“avvenimento” di una nuova esistenza nella sua unità con la madre, negando, conseguentemente, che la vita è “data” e che i primi moti dell’animo e dell’intelligenza verso un uomo che nasce sono uno stupore, un’attesa e una tensione gratuiti, i quali offrono la prima evidenza esistenziale quale “dipendenza” dell’io da altro da sé.
Siamo probabilmente di fronte alla contestazione più radicale della natura dell’Essere, giacché con il contratto di maternità surrogata il “Prometeo” committente afferma la potenza della propria autodeterminazione contro i limiti della natura umana, nonché contro ogni riconoscimento di gratuità e relazionalità dell’esistenza, perciò reificando gli altri soggetti di cui si serve e opponendosi alla dinamica ontologica per cui la vita viene donata senza una previa misura e si struttura come “dipendenza” da altro da sé.
IL LIVELLO DELLA QUESTIONE.
La più importante posta in gioco nel dibattito sulla maternità surrogata è la concezione dell’umano che verrebbe affermata, qualora si riconoscesse liceità ai relativi contratti o se i divieti penali venissero ridotti o annullati. È la stessa Corte di Cassazione, nella più volte citata sentenza del 30 dicembre 2022, a fissare a questa altezza l’asticella, riconoscendo, cioè, “che la lettura suggerita dall’ordinanza di rimessione trova sostegno in una parte significativa del pensiero giuridico e culturale del nostro Paese, che prende le distanze dall’idea dei valori della persona che si impongono alla persona medesima”, in quanto il valore assoluto della vita non sarebbe più sempre “inviolabile”, ma dipenderebbe, invece, soltanto dal “diritto alla libertà e all’autodeterminazione”[32]. Dunque, il Giudice della nomofilachia si accorge con chiarezza del nucleo antropologico della questione: il protagonista culturale e il modello su cui si fonda la richiesta di validità dei contratti di maternità surrogata derivano dal dogma assoluto della autodeterminazione, al fine di consentire al soggetto più forte di estendere il proprio dominio, negando dignità ai soggetti più deboli che vengono “reificati” e affermando la disponibilità dell’esistenza in capo alla parte dominante.
Qualora, invece, si ritenga di considerare la diversa prospettiva antropologica, per cui “tutti i capelli del capo sono contati”[33], ove, cioè, a ogni circostanza di vita viene sempre assicurato un rispetto assoluto, si escluderà convintamente ogni “giuridicità” all’asservimento di qualcuno rispetto ad altri, specie se in condizioni di fragilità e debolezza. Dunque, per riutilizzare le parole della Suprema Corte, in questa seconda prospettiva antropologica, una donna non potrà mai, nemmeno nel caso di “prestazione non onerosa”[34], divenire “mero servizio gestazionale”, né il parto ovvero il bambino nato potranno essere annichiliti ad “atto conclusivo di tale prestazione servente”, così come non potrà ammettersi “la riduzione del corpo della donna ad incubatrice meccanica, a contenitore di una vita destinata ad altri”, senza violare oggettivamente la “dignità della donna”[35].
Se si accetta che il dialogo tocchi davvero il fondo antropologico della questione, lo “scarto” di alcune esistenze rispetto al predominio di altre potrà essere confrontato da ciascuno con la ben diversa prospettiva umana di uno sguardo che, di fronte al rilucere naturale dell’Essere nella maternità e nella vita nascente, si inchina stupito, commosso, rispettoso e teneramente grato per il dono di segni di tale grandezza e bellezza. È lo sguardo di Francesco d’Assisi, che, “considerando che tutte le cose hanno un’origine comune, chiamava le creature, per quanto piccole, con il nome di fratello o sorella”, rinunciando “a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio” [36].
È una sfida radicale quella portata dalla maternità surrogata, che si gioca innanzitutto sul piano del giudizio e della scelta fra Prometeo e Francesco. Ed è a questo livello che ciascuno si può accorgere, come ricorda con sincerità il cantautore italiano Roberto Vecchioni, che, nella tragedia di Eschilo, è lo stesso emulo degli dei, Prometeo, ad ammettere di aver “immesso nel cuore degli uomini speranze cieche”[37].
Domenico Menorello, Avvocato
dottore ricerca in Filosofia del Diritto Università Padova- Componente CNB, Coordinatore network “Ditelo sui tetti”
[1] Altrimenti denominata anche “utero in affitto” o “gestazione per altri-GPA”.
[2] Cfr DANIELA BANDELLI (LUMSA), EMANUELE DI LEO (Steadfast), STEFANO GENNARINI (Center for Family and Uman Rights (C-Farm), Raising Awareness on Gestational Surrogacy Among Vulnerable Women in Developing Countries, in Sociological Debates on Gestational Surrogacy, ed. Springer, 2021, anche in www.lumsa.it/sites/default/files/link/Raising-Awareness-on-Gestational-Surrogacy-3.16.21.pdf
[3] Cfr. IL TIMONE n. 228 del maggio 2023, cit. pp. 10 e ss. .
[4] Così Cassazione, Sezioni Unite 30 dicembre 2022, n. 38162: “Nel quadro delle metodiche di procreazione medicalmente assistita, la maternità surrogata riveste una posizione del tutto peculiare rispetto alle ordinarie procedure di fecondazione artificiale, omologa o eterologa, postulando la collaborazione di una donna estranea alla coppia, che presta il proprio corpo per condurre a termine una gravidanza e partorire un bambino non per sé ma per un’altra persona”.
[5] Cfr. Proposta di legge Camera dei deputati n. 887-342-1026, XIX legislatura per la perseguibilità all’estero del reato di cui all’art. 12, comma 6, della legge n. 40/2004.
[6] Cfr., ex multis, Corte costituzionale 15 febbraio 2022, n. 50.
[7] Il quale, come noto, vieta “gli atti di disposizione del proprio corpo … quando siano contrari alla legge, al buon costume o all’ordine pubblico”.
[8] STEFANO NITOGLIA, I contratti di maternità surrogata: nozione, problemi di esecuzione, clausole abortive, diritto di recesso, portale Centro Studi Livatino, 19 giugno 2023
[9] Cfr. https://www.biodiritto.org/Biolaw-pedia/Giurisprudenza/Corte-di-Cassazione-ordinanza-interlocutoria-n.-1842-2022-riconoscimento-di-entrambi-i-genitori-nell-atto-di-nascita-del-minore-nato-tramite-maternita-surrogata
[10] Cfr. SENTENZA Sezioni Unite Civili Corte di Cassazione, n. 38162 del 30 dicembre 2022, pp. 9 e ss., in https://www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/it/det_civile_sezioni_unite.page?contentId=SZC27792
[11] Cfr. Domenico Menorello, Per un diritto antropologicamente fondato, di fronte al cambio d’epoca, in L-IUS, Rivista semestrale del Centro Studi Livatino, gennaio 2022, fascicolo 2-2021, https://l-jus.it/per-un-diritto-antropologicamente-fondato-di-fronte-al-cambio-depoca/ .
[12] PAPA FRANCESCO, Incontro con i rappresentanti del V convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze, 10 novembre 2015.
[13] In ciò consiste lo scopo del nuovo lavoro culturale di tante persone singole e associate, fra cui anche il network di circa cento associazioni “Ditelo sui tetti”, che sviluppano una riflessione operosa e condivisa per accorgersi della filigrana dell’umano di nuovo conio trascinata dal “cambio d’epoca” e per proporre a tutti, “sui tetti” appunto, un giudizio su quale proposta antropologica sia più ragionevole (www.suitetti.org).
[14] Cfr. Per un parziale elenco della sequenza di fatti giuridici nell’ultimo decennio https://www.suitetti.org/vision/ .
[15] Cfr. AA.VV., Diritto o condanna a morire per vite inutili? Cantagalli, 2019, cit.
[16] PAPA FRANCESCO, Udienza generale, Roma, 5 giugno 2013.
[17] ANDREA SIMONCINI, Intervista all’Osservatore Romano, 30 maggio 2019.
[18] Cfr. https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=162
[19] Cfr. Genesi 3, 4-5 “Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male»”.
[20] SAPORITO SANDRA, Il mito di Prometeo ci svela i segreti del nostro fuoco interiore, in www.eticamente.net, 3 gennaio 2022.
[21] Cfr. Cass. citata; d’ora in poi anche solo Sezioni Unite.
[22] Cassazione, SS.UU. 3 dicembre 2022, n. 3892, citando nel passaggio, il “Tribunal Supremo spagnolo, sentenza n. 277 del 2022”.
[23] SERGIO COTTA, Il diritto nell’esistenza, Linee di ontofenomenologia giuridica, Giuffré, Milano, 1991
[24] PAPA FRANCESCO, enciclica Laudato si’, paragrafi 122, 123.
[25] Cfr. SS. UU., 3892/2022, cit.: “La Corte costituzionale ha rilevato che «gli accordi di maternità surrogata comportano un rischio di sfruttamento della vulnerabilità di donne che versino in situazioni sociali ed economiche disagiate; situazioni che, ove sussistenti, condizionerebbero pesantemente la loro decisione di affrontare il percorso di una gravidanza nell’esclusivo interesse di terzi, ai quali il bambino dovrà essere consegnato subito dopo la nascita» (sentenza n. 33 del 2021)”.
[26] MASSIMO CACCIARI, intervista a La Verità, riportata il 12 giugno 2023 su https://www.ilsussidiario.net/news/utero-in-affitto-cacciari-e-linferno-in-terra-cosi-le-donne-diventeranno-merce/2551019/ .
[27] Cass., SS. UU, n. 3892/2022, cit. .
[28] Cfr. LUANA ZANELLA, Il Dubbio, intervista del 28 giugno 2023.
[29] Cfr. CARLO VALERIO BELLIENI, L’alba dell’«io». Dolore, desideri, sogno, memoria del feto, Soc. editrice fiorentina, 2004.
[30] CLAUDIA NAVARINI, ELENA RICCI, La sofferenza di fine-vita: cure palliative simultanee, virtù e fioritura morale nella fragilità, Bioetica Rivista interdisciplinare, n. 4/2021.
[31] MARGHERITA DAVERIO, Perché le tortura? Un’interpretazione filosofica, Giappichelli ed., Torino, 2023, citando SERGIO COTTA, Giustificazione e obbligatorietà delle norme, Studium, Roma, 1981.
[32] Cfr. SS.UU. n 3892/2022, cit.
[33] Cfr. LUCA, 12, 1-7.
[34] Cfr. SS.UU. n 3892/2022, cit..
[35] È ancora la Cassazione a ricordare che, per questo, “in termini analoghi si è espressa la Corte costituzionale, sottolineando che la pratica della maternità surrogata «offende in modo in tollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane» (sentenza n. 272 del 2017 e, da ultimo, sentenze n. 33 del 2021 e n. 79 del 2022)”, relazioni che vengono addirittura recise nell’esempio più significativo di unità fra le stesse, quale è la maternità”.
[36] PAPA FRANCESCO, Laudato sì, par. 11
[37] ROBERTO VECCHIONI, intervista a Il Corriere della Sera, 25 giugno 2023, citando ESCHILO, Il prometeo incatenato
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