Nel condividere l’articolo scritto da Assuntina Morresi per Avvenire, aggiungiamo qualche nostra considerazione. Il caso di Noa segna un nuovo spartiacque, quello in cui si rende palese una mutazione antropologica. Ovvero, non si sta più accanto ad una persona che si lascia morire di fame e di sete per cercare di impedirglielo ma per AIUTARLA a farlo. E si capisce perché Cappato si è affrettato a dire che non si è trattato di eutanasia: il caso di Noa per lui va derubricato ad una ennesima manifestazione di libera autodeterminazione. Ma noi non possiamo adeguarci a questo pensiero, non possiamo rassegnarci ad essere meri esecutori o muti testimoni della morte d’inedia. E non possiamo accettare che questo sia visto come civiltà.
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