A proposito dell’inserimento nella Costituzione francese del diritto all’aborto, rilanciamo questo puntuale e chiaro intervento del Centro Studi Livatino.
1. Non posso astenermi dal deplorare pubblicamente l’ingiustizia morale e giuridica della legge che la Repubblica francese ha promulgato l’8 marzo 2024 che proclama essere l’aborto un diritto costituzionale. L’introduzione di tale «diritto» è avvenuta con l’inserzione nell’art. 34 della Costituzione della seguente frase: “La loi détermine les conditions dans lesquelles s’exerce la liberté garantie à la femme d’avoir recours à une interruption volontaire de grossesse”.
Non condannare tale atto legislativo equivarrebbe a un’omissione moralmente colpevole. È d’uopo infatti interrogarsi sulle colpe dei ‘buoni’ meditando il testo in cui San Luca ricorda che Gesù – lodando l’amministratore disonesto – disse: “I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce (Lc. 16, 8), proseguendo: “Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona” (Lc. 16, 13).
Per questo motivo desidero adempiere a un impegno pubblico di verità ribadendo che l’aborto volontario è l’uccisione di un essere umano innocente. Pertanto non può costituire l’oggetto di un diritto di alcuno, né della donna che lo porta in grembo, né di qualsiasi altra persona o dello Stato.
2. Nel dopoguerra, dopo la scoperta dell’immane sterminio nazionalsocialista degli ebrei, di uomini e donne di altre etnie e degli uomini, donne e bambini bollati come senza valore – le esistenze-zavorra Ballast-Existenzen – sembrò che in Occidente si potesse risvegliare il senso di umanità che era stato eroso a partire dai paesi anglosassoni e germanici in un secolo intero di evoluzionismo materialista ed eugenista.
Nelle università tedesche e anglosassoni avevano dettato legge per decenni gli accademici che avevano dichiarato guerra agli inadatti per sradicarli dal mondo. Ernst Haeckel, il cupo banditore del darwinismo sociale, acclamato dalla ´scienza ufficiale´, aveva dichiarato già nel 1868 che la sanità dei popoli non avrebbe potuto che trarre giovamento dal riattivare la pratica crudele degli spartani, togliendo dalla vita migliaia di storpi, sordomuti, cretini. È ragionevole“ [..] gleich von Angang aus den Weg abzuschneiden“ a vite senza valore, strappandole alla miseria inevitabile e all’esistenza senza valore.
In quegli anni, come accennavo, l’argomento ad Hitlerum sembrò acquisire un certo pregio. “Vedete a che punto si può arrivare, se si seguono i programmi eugenistici ed abortistici?”, osservavano le persone di buon senso mostrando preoccupazione per la deriva scientistica in corso per decenni nell’Occidente più avanzato!
Peraltro, l’insegnamento morale della Chiesa cattolica, sotto la guida del Venerabile Pio XII, sembrava nuovamente influire sui popoli cattolici; le stesse élites delle nazioni occidentali, mosse anche dal timore della minaccia sovietico-comunista, sembravano dare un certo credito alle tesi in difesa della vita e della famiglia.
3. Questo periodo di relativa calma fu di breve durata. Già verso la fine degli anni ’50 del secolo scorso il movimento mondiale per l’aborto riprese nuovo vigore. Furono però cambiate le strategie di fondo per introdurre la liberalizzazione nelle legislazioni: si passò dalla strategia autoritaria e pseudo-scientifica a quella liberale e libertaria.
Molti argomenti di tipo eugenetico si erano mostrati peraltro scientificamente infondati. Le acquisizioni della scienza avevano dimostrato con certezza che l’inizio della vita umana avviene con la fecondazione.
Le linee ideologiche che contrassegnarono la rivendicazione dell’aborto a partire dagli anni ’60 del secolo scorso fecero riferimento a due idee di fondo.
La prima fu di rivendicare il diritto all’aborto come diritto all’autodeterminazione personale della donna. La seconda fu di denunciare lo scandalo degli aborti clandestini e l’esigenza di tutelare la salute della donna.
La prospettiva propagandata dall’ideologia liberale fu caratterizzata da una sottigliezza concettuale più accattivante di quella autoritaria usata in precedenza.
Il profilo nuovo fu il richiamo alla libertà assoluta della donna; al principio di autodeterminazione di ciascuno su di sé e sulle creature indifese che non possono difendersi da sole.
4. L’irrilevanza nichilistica della vita del nascituro, che conduce logicamente all’irrilevanza del nato almeno per il primo anno di vita, fu espressa con chiarezza dal filosofo germanico Norbert Hoerster che escluse in chiave filosofica la tutela giuridica del feto in quanto essa non troverebbe spiegazione – sarebbe in sostanza qualcosa di frivolo – né con riferimento alla sua appartenenza alla specie umana, né alla sua potenzialità di diventare un uomo, ma esclusivamente alla credenza in Dio. Ma poiché non vi sarebbe posto nell’ordinamento giuridico liberale per l’idea di Dio, allora sarebbe improponibile in ogni ordinamento moderno la stessa idea della tutela giuridica della vita nascente.
Secondo Hoerster l’idea cardine del diritto secolarizzato è l’interesse, il cui criterio di esistenza è la sua azionabilità. Ove non vi è interesse azionabile, in via diretta o indiretta, lì non si darebbe diritto. L’ordinamento non sarebbe – a pena di violare i limiti dello Stato di diritto – custode o promotore di giustizia, bensì semplice regolatore del coacervo degli interessi azionabili. Integrerebbe il concetto di persona soltanto chi possiede in modo cosciente un proprio interesse alla prosecuzione della vita. Poiché né il feto né l’infante appena nato, come peraltro neanche l’anziano incapace o chiunque abbia perduto la coscienza, sono effettivi portatori di tale interesse, tutti costoro non sono persona e non godono della tutela dello Stato.
La tutela della vita nascente costituisce in realtà la garanzia remota, ma fondamentale, per il rispetto di ogni vita.
Nell’embrione e nel feto non sono verificabili fenomeni coscienziali. Assumendo come doverosa la tutela normativa della persona soltanto con l’apparire di tali fenomeni, tutti coloro che non sono ancora o non sono più capaci di una vita cosciente rischierebbero di perdere il diritto alla protezione dello Stato e sarebbero esposti all’arbitrio del più forte.
5. La larga depenalizzazione dell’aborto nei Paesi occidentali nel decennio ’70 – ’80 del secolo scorso – tranne che nel caso Roe v. Wade deciso dalla Corte Suprema americana nel gennaio 1973 – non implicava il riconoscimento di un diritto della donna all’aborto.
La legge si limitava a prendere atto dei problemi di salute, nonché delle difficoltà psicologiche, economiche ed esistenziali della donna che non si sentiva in grado di portare a termine la gravidanza. Inoltre il legislatore riteneva socialmente inopportuno l’intervento della legge penale, che non avrebbe limitato – si diceva – il numero di aborti. La liberalizzazione, invece, avrebbe scongiurato gli aborti clandestini, che determinano un pericolo di livello più alto per la vita e la salute della donna.
6. Tale indirizzo fu espresso in modo preciso dalla sentenza del Tribunale costituzionale (Bundesverfassungsgericht) della Repubblica Federale tedesca del 25 febbraio 1975. Essa dichiarò illegittima una legge del 1974 ampiamente liberalizzatrice dell’aborto sul rilievo che confliggeva con il § 2 della legge fondamentale (Grundgesetz), in base al quale “ognuno ha il diritto alla vita e alla integrità fisica”.
Il Tribunale costituzionale tedesco rilevava che la vita fetale è protetta come bene giuridico dalla Costituzione. Poiché quest’ultima statuisce che ogni persona ha diritto alla vita e che la dignità dell’uomo è inviolabile, ciò deve riguardare anche la vita umana ancora non nata, ma esistente nel grembo materno, sì che la vita del feto, lungo tutto il periodo della gravidanza, costituisce un bene prioritario rispetto alla facoltà di autodeterminazione della gestante e non può essere posta in discussione entro alcun termine. La protezione della vita del nascituro, che non può essere ritenuta un bene giuridico inferiore rispetto alla salute della madre, esige anche la previsione della sanzione penale nei confronti degli autori dell’illecito.
Il giudice costituzionale ammetteva infine che l’interruzione della gravidanza non fosse punita soltanto nel caso in cui ricorressero le cosiddette «indicazioni», da determinarsi con caratteristiche di precisione e di tassatività da parte del legislatore, onde non si aprisse attraverso esse la possibilità indiscriminata di compiere impunemente l’intervento abortivo.
La legge di riforma del 1974 venne pertanto dichiarata nulla e priva di validità giuridica in quanto, escludendo la punibilità dell’aborto in modo generalizzato all’interno di determinati termini temporali, non garantiva una sufficiente tutela giuridica dalla vita del nascituro.
Le legge italiana promulgata il 22 maggio 1978 si collocò nel quadro di un compromesso tra il riconoscimento del “valore sociale della maternità” e il principio che lo Stato “tutela la vita umana dal suo inizio” da un lato, e, dall’altro, la liberalizzazione dell’aborto secondo il criterio dei termini per i primi 90 giorni della gravidanza e della sua regolamentazione limitatrice per il periodo successivo.
Lo scopo ‘apologetico’ del primo articolo della legge darebbe l’impressione di “voler fare una scelta di campo, non a favore del “diritto d’aborto” ma a favore dei valori della maternità, della vita, della procreazione responsabile. Senonché il fatto stesso che sia stata avvertita l’esigenza di dire queste cose, fa dubitare – di per sé – che dalla seguente disciplina esse sarebbero state sufficientemente chiare”.
Al tentativo di compromesso dei legislatori degli anni ’70 – che fallì in quanto la disciplina concreta fece strame delle buone intenzioni – si sottrasse la sentenza della Corte Suprema americana del 22 gennaio 1973 Roe v. Wade sul duplice rilievo che il feto non rientra nel concetto di ‘persona’ in base al 14° Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti e che la donna ha, in forza del medesimo emendamento, un vastissimo right of privacy, cioè un diritto su di sé che non può essere limitato se non da pressanti interessi statali (“compelling state interest”). Tale decisione, sia pure implicitamente, riconosceva nell’aborto l’esistenza di un diritto della donna.
7. Senonché, come ha scritto il criminologo Nigel Walker: “la legislazione di una generazione può divenire la morale della generazione successiva”.
Gli eventi del marzo di quest’anno in Francia inverano il dictum del criminologo inglese.
Inscrivere nella Costituzione il ‘diritto’ all’aborto significa, sul piano giuridico, porre un ostacolo pressoché insormontabile non soltanto alla sua proibizione, bensì anche alla sua limitazione.
Sotto questo punto di vista la legge promulgata l’8 marzo 2024 costituisce una risposta giuridica alla sentenza della Corte Suprema americana del 24 giugno 2022 che ha annullato la pronuncia Roe v. Wade, riconoscendo a ogni singolo Stato della Federazione il diritto a legiferare in ordine alla disciplina dell’aborto con norme più o meno restrittive.
Sotto un punto di vista morale la costituzionalizzazione del diritto all’aborto ha un significato molto più grave.
In un ordinamento ‘laico’, che non riconosce alcun principio morale sopra di sé, la legge costituzionale si identifica con la suprema legge morale cui va riconosciuto il primato su ogni altro principio. Il diritto alla vita del nascituro è, in via di principio, annientato. Ciò implica, sempre in via di principio, che l’autodeterminazione individuale, che è posta alla base del diritto all’aborto, è il criterio discretivo della gerarchia dei diritti. Il diritto alla vita di ogni individuo può diventare così soccombente rispetto all’assolutezza dell’autodeterminazione individuale. La nuova legge costituzionale francese possiede anche un’eminente cifra simbolica, destinata a influire sulla formazione delle generazioni future, diretta a svilire, fin quasi a cancellarlo, il valore della vita e della famiglia nonché a deprimere sempre più la solidarietà sociale e la continuità della stessa comunità politica e umana.
Non è un caso che l’Istituto nazionale francese di studi demografici (INED) nel 2022 ha registrato 232.000 aborti, in aumento rispetto al 2020 e 2021, nell’ambito di una condizione storica in cui la natalità continua a diminuire. Nel 2022 la proporzione fu di un aborto su tre nati, mentre negli anni ’90 e fino al 2017 la proporzione era di un aborto su quattro nati.
8. Gli scopi perseguiti dall’élite politica della Repubblica francese – di rendere l’aborto irreversibile e di sradicare dalla società l’amore e il rispetto per la vita e la famiglia – spiegano l’enfatizzazione con cui è stato circondato l’evento legislativo.
Il Ministro della Giustizia Enric Dupond-Moretti ha dichiarato ai parlamentari che “L’IVG n’est pas une liberté comme les autres, car elle permet aux femmes de décider de leur avenir”. Il Primo Ministro Gabriel Attal ha dichiarato: “C’est une étape fondamentale que nous pouvons franchir. Une étape qui restera dans l’Histoire, une étape qui doit tout aux précédentes”. Il Capo dello Stato Emmanuel Macron si è felicitato immediatamente per il voto con la dichiarazione: “Fierté française, message universel”.
All’evento è stata data la massima ‘sacralità’ laica per le sedi in cui sono avvenute l’approvazione e la promulgazione della legge.
Il Congresso si è riunito a Versailles ove si sono espressi a favore 780 parlamentari contro 72 voti contrari e 50 astensioni, integrando una maggioranza largamente superiore a quella qualificata richiesta per le leggi costituzionali di 512 voti.
Il sigillo della Repubblica è stato apposto in una cerimonia pubblica straordinaria e inconsueta tenutasi a place Vendôme a Parigi. Nel suo discorso il Presidente della Repubblica ha annunciato di volere «l’inscription de cette liberté garantie de recourir à l’interruption volontaire de grossesse dans la Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne». Si «la France est devenue le seul pays au monde dont la Constitution protège explicitement» le droit à l’IVG, «nous ne trouverons le repos que lorsque cette promesse sera tenue partout dans le monde»
9. Le parole pronunciate da Macron all’atto della promulgazione solenne confermano una strategia di vasto respiro che intende rilanciare l’aborto come pratica di limitazione delle nascite in tutto il mondo, contrastando le remore di larghissima parte della classe medica e gli eventuali effetti dell’annullamento della Roe v. Wade che la Corte Suprema americana ha compiuto nel giugno 2022 con rettitudine e coraggio.
La strategia di Macron corrisponde a interessi mondialistici che dominano larga parte della politica sanitaria e demografica delle istituzioni internazionali. Non è dunque improbabile che la decisione del Congresso francese sia destinata a ricadute importanti su molti Paesi del globo. Le ricadute sarebbero devastanti nell’area africana con l’effetto di abbattere le soglie ritenute troppo alte di natalità di quella parte del globo. Le ricadute saranno anche probabili sull’Italia tramite campagne mediatiche di larga portata mirate a due obiettivi specifici: per un verso abolire, o almeno restringere, il diritto all’obiezione di coscienza dei medici, che in Italia è largamente maggioritario; per altro verso, stroncare le iniziative dei Centri di Aiuto alla Vita e delle Amministrazioni regionali che ne hanno favorito l’operatività con regole conformi al dettato della legge n. 194 del 1978: tali iniziative sono dirette a far conoscere alle donne in gravidanza il valore della vita nascente e a sostenerle nelle difficoltà esistenziali che incontrano nella vita quotidiana anche perché sottoposte alla martellante propaganda abortista.
Gli eventi accaduti in Francia nel marzo del 2024 interpellano dunque anche noi in Italia, non soltanto sul piano dei principi, schiacciati dalla introduzione di un ‘diritto’ contrario al diritto naturale, bensì anche sul piano pratico per evitare colpi di mano analoghi, limitativi del diritto all’obiezione di coscienza e diffamatoriamente dissuasivi delle iniziative concrete a favore della vita nascente.
Mauro Ronco