Dal diritto di morire al dovere di morire.
Come si apprende dagli organi di stampa in Olanda entro l’anno sarà approvata una legge che estende le pratiche di eutanasia ai minori di anni 12 affetti da malattie terminali le cui sofferenze sono ritenute insopportabili e il decesso – a seguito della patologia da cui sono affetti – è pronosticato come esito inevitabile a breve termine.
Sul punto molte considerazioni potrebbero essere effettuate, ma almeno tre sono le principali che in questa sede meritano di essere evidenziate, cioè quella di natura scientifica, quella di natura etica e, infine, quella di natura giuridica.
Prima di ciò, tuttavia, è doveroso ricordare il percorso normativo che sul punto si è succeduto in Olanda che non soltanto è stato il primo Paese europeo che nel 2002 ha legalizzato le pratiche di morte volontaria (seguito poi dal Belgio che con la legge del 2 marzo del 2014 ha abolito ogni limite di età per la somministrazione della soluzione eutanasica così possibile anche sui minori come nel primo caso avvenuto nel 2016, la cui analisi etico-giuridica è stata affrontata su queste pagine dal Prof. Mauro Ronco),[1] ma nel quale già dal 2005 ad opera del medico Edward Verhagen, il quale ha elaborato e applicato i cosiddetti “Protocolli di Gröningen”,[2] si pratica l’eutanasia neonatale su ampia scala.[3]
Fino ad oggi i soggetti tra il primo anno di età e i dodici anni erano esclusi dalle pratiche eutanasiche olandesi, limite che adesso si intende abolire venendo alla luce tutte le criticità di una simile scelta.
In primo luogo: dal punto di vista scientifico, proprio grazie allo sviluppo delle terapie palliative sempre più avanzate è del tutto falso affermare che vi siano sofferenze insopportabili le quali giustificherebbero la somministrazione dell’eutanasia.
La stessa esistenza della sedazione terminale profonda, come per esempio attestato già nel 2016 dal Comitato Nazionale per la Bioetica italiano, dimostra che esistono alternative valide dal punto di vista tecnico ed etico che possono evitare la prassi eutanasica.
In secondo luogo: dal punto di vista etico non soltanto si ripropone il problema della dimensione deontologica del medico che per sua natura dovrebbe salvare la vita e non somministrare la morte, ma per di più il quadro si complica trattandosi di minori non in grado di esprimere un valido consenso e peraltro afflitti da gravi patologie che dovrebbero richiedere non una semplicistica soluzione eliminatoria, bensì una maggiore attenzione di assistenza e cura secondo quello che è, per l’appunto, l’orizzonte di senso della professione medico-sanitaria.
Ecco perché è stato più volte osservato come la prassi eutanasica in genere e quella infantile in particolare sia irrimediabilmente contraria all’etica medica e alle buone pratiche cliniche pediatriche,[4] poiché, con le parole di Hans Jonas, «il paziente dev’essere assolutamente sicuro che il suo medico non diventi il suo boia e che nessuna definizione lo autorizzi mai a diventarlo».[5]
In terzo luogo: dal punto di vista giuridico sorgono le principali difficoltà.
La prima riguarda il principio di autodeterminazione che viene esibito quale presupposto per la legittimità e la legalizzazione delle prassi eutanasiche: come si evince nel caso dell’eutanasia infantile, trattandosi di minori, per di più spesso neanche in grado di poter esprimere un seppur vago consenso, il principio di autodeterminazione viene ad essere totalmente e frontalmente disatteso e contraddetto.
Sempre più spesso, infatti, si diffonde la pratica eutanasica nei confronti di soggetti che per diversi motivi non sono in grado di esprimere il loro consenso: minori, pazienti in stato vegetativo, anziani con patologie neuro-degenerative, pazienti psichiatrici ecc.
Non a caso già nel 2016 il The Washington Post denunciava la crisi morale dell’Europa in cui si mettono a morte attraverso le pratiche eutanasiche pazienti non in grado di autodeterminarsi.
Si dimostra, ancora una volta, come la rivendicazione del diritto di morire si trasformi presto o tardi in un dovere di morire con ogni sacrificio di libertà e autodeterminazione personali.[6]
La seconda difficoltà emerge dalla connotazione palesemente eugenetica che un tale tipo di prassi eutanasica rivela poiché somministrata nei confronti di soggetti deboli in ragione della stessa patologia di cui soffrono e tutto ciò nonostante le applicazioni eugenetiche del sapere bio-medico siano espressamente vietate da numerose carte internazionali come l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,[7] l’articolo 11 della Convenzione di Oviedo,[8] ed implicitamente l’articolo 14 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo nella misura in cui vieta la discriminazione in base a qualunque altra condizione rispetto a quelle esplicitamente elencate.[9]
La terza difficoltà è quella più prettamente giuridica nella misura in cui afferisce alla natura del diritto e può essere sintetizzata con il seguente interrogativo: può un ordinamento giuridico permettere che i più deboli siano privati dei loro più elementari diritti, come quello alla vita, pretendendo di rimanere effettivamente giuridico?
Il diritto, infatti, per sua specifica vocazione, si oppone alla violenza e si propone come salvaguardia dei più deboli, così che una legge, ovunque essa sia promulgata nello spazio e nel tempo, che depriva i più deboli delle più elementari garanzie giuridiche, come appunto la tutela del diritto alla vita, deprava la sua stessa natura trasformandosi nell’opposto del diritto, in anti-diritto, cioè, appunto, in violenza.
Da qui la sostanziale e ineludibile antigiuridicità delle norme che, pur formalmente regolari, consentono le prassi eutanasiche, specialmente nei confronti dei più indifesi come i malati o, ancor peggio, dei malati che sono per di più minorenni.
E’ proprio in tale prospettiva che ci si augura non soltanto che l’Olanda faccia marcia indietro su simili nefandezze (anti)giuridiche, ma soprattutto che nessun altro ordinamento di nessun altro Paese europeo possa esser “contagiato” da simili iniziative, tenendo sempre a mente che la luce del diritto non può essere offuscata dalla tenebra della violenza, neanche quando questa, come lupo travestito da agnello, dovesse assumere l’elegante e rispettabile abito della legge di Stato.
Aldo Rocco Vitale
[1] Per approfondimenti cfr. AA.VV., Il diritto di essere uccisi: verso la morte del diritto?, a cura di Mauro Ronco, Giappichelli, Torino, 2019; AA.VV., Eutanasia. Le ragioni del no, a cura di Alfredo Mantovano, Cantagalli, Siena, 2021.
[2] Eduard Verhagen, The Groningen Protocol for newborn euthanasia; which way did the slippery slope tilt?, in Journal of Medical Ethics, 39/2013, pag. 293-295.
[3] Per approfondimenti cfr. Aldo Rocco Vitale, L’eutanasia come problema biogiuridico, FrancoAngeli, Milano, 2016, pag. 151 e ss; Aldo Rocco Vitale, Introduzione alla bioetica. Temi e problemi attuali, Il Cerchio, Rimini, 2019.
[4] Ex plurimis cfr. Eric Kodish, Paediatric ethics: a repudiation of the Groningen protocol, in The Lancet, 371/2008, pag. 892-893.
[5] Hans Jonas, Morte cerebrale e banca di organi umani: sulla ridefinizione pragmatica della morte, in Tecnica, medicina ed etica, Einaudi, Torino, 1997, pag. 170.
[6] Cfr. Aldo Rocco Vitale, Dal diritto di morire al morire del diritto, in L-Jus, 2018, pag. 113 e ss.
[7] «È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche».
[8] «Ogni forma di discriminazione nei confronti di una persona in ragione del suo patrimonio genetico è vietata».
[9] «Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione».